• Il ricorso per cassazione può essere presentato personalmente dalla parte?

    Cass. pen., Sez. Un., ud. 21 dicembre 2017, dep. 23 febbraio 2018, n. 8914
    La questione di diritto rimessa all’esame delle Sezioni Unite della Suprema Corte è la seguente: “se, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 agli artt.  571 e 613 c.p.p., con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato di proporre personalmente  ricorso per cassazione, permanga la legittimazione di questi a proporre personalmente ricorso in materia di misure cautelari personali, ai sensi dell’art. 311 c.p.p.”.  
    Come noto, l’originaria formulazione dell’art. 613, comma 1, c.p.p. prevedeva che il ricorso per cassazione potesse essere presentato dalla parte personalmente ovvero da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
    La l. 23 giugno 2017, n. 103 (cd. “riforma Orlando”), ha modificato l’art. 613, comma 1, c.p.p. sopprimendo l’incipit, riferibile al solo imputato, “salvo che la parte non vi provveda personalmente” e ha parallelamente inserito, in apertura dell’art. 571, comma 1, c.p.p., la clausola “salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’articolo 613 comma 1”.
    La novella legislativa ha, quindi, eliminato la possibilità per la parte di presentare il ricorso personalmente stabilendo che “l’atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione”; ha invece lasciato immutata per le impugnazioni diverse dal ricorso per cassazione, la legittimazione personale dell’imputato a proporle, non modificando l’originaria previsione dell’art. 571 c.p.p.
    L’attuale quadro normativo, giustificato dall’esigenza di assicurare un alto livello di professionalità nella redazione di un atto come il ricorso per cassazione, connotato da un elevato tecnicismo, ha posto il problema interpretativo dell’applicabilità del combinato disposto degli artt. 571 e 613 c.p.p., nella parte in cui richiedono la necessaria sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte di un difensore abilitato a patrocinare dinanzi alla Corte di cassazione, a tutte le numerose ipotesi di ricorso per cassazione previste dalla normativa codicistica (fra cui, come nel caso di specie, quelle in materia di misure cautelari), ed extracodicistica.
    Secondo l’indirizzo espresso dalla Sezione remittente, mentre la previsione normativa contenuta nell’art. 571 c.p.p. ha portata generale, quella contenuta nell’art. 613 c.p.p. costituirebbe una deroga applicabile al solo ricorso “ordinario” per cassazione, e non varrebbe per tutte quelle ipotesi in cui la ricorribilità in cassazione sia prevista con riferimento a subprocedimenti incidentali o del tutto autonomi rispetto a quello di merito; di conseguenza, la regola della necessaria assistenza tecnica prevista dall’art. 613, comma 1, c.p.p. deve intendersi come riferita al solo ricorso per cassazione avverso le sentenze o i provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali ed autonomi.
    Seguendo tale impostazione, il ricorso proposto avverso le ordinanze emesse nell’ambito del procedimento cautelare, per sua natura incidentale e strumentale ad un successivo giudizio di merito, trova specifica regolamentazione nell’art. 311 c.p.p., che non essendo stato modificato dalla riforma Orlando, continua a prevedere la facoltà per l’imputato di sottoscrivere personalmente il ricorso, in sintonia con la regola  generale di cui all’art. 571, comma 1, c.p.p.
    Inoltre, il mancato adeguamento dell’art. 311 c.p.p. alla nuova disciplina prevista per il ricorso per cassazione non è frutto di un “macroscopico difetto di coordinamento”, ma di una scelta consapevole del legislatore di non estendere alle impugnazioni cautelari il nuovo regime previsto in via ordinaria dall’art. 613 c.p.p. E conferma di ciò si rinviene nel fatto che il legislatore è intervenuto sul regime del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari reali, modificando l’art. 325 c..p. ed introducendo un espresso rinvio all’art. 311, commi 3, 4 e 5 c.p.p., senza invece modificare quest’ultimo.
    Secondo un diverso indirizzo interpretativo, invece, l’art. 613 c.p.p. deve interpretarsi come norma di esclusione, di carattere generale, potenzialmente applicabile a qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione, con la conseguenza che devono ritenersi implicitamente abrogate tutte le disposizioni, codicicstiche ed extracodicistice, che prevedono la facoltà per il soggetto interessato di presentare personalmente ricorso per cassazione. Ciò non comporta alcuna lesione ai principi costituzionali e convenzionali in tema di effettività dei diritti della difesa e del contraddittorio poiché la loro concreta attuazione, con la pretesa della necessaria assistenza tecnica, sarebbe modulata dal legislatore in considerazione dell’elevata complessità tecnica del giudizio di legittimità.
    Secondo tale indirizzo, con riferimento all’ipotesi all’esame della Suprema Corte, il legislatore della riforma si è astenuto dall’intervenire sul testo degli artt. 311 e 325 c.p.p. non “al fine di preservare un’isola di legittimazione personale dell’imputato e dell’indagato alla presentazione del ricorso in sede di legittimità”, ma semplicemente perché non ha ritenuto necessario farlo in relazione alla disciplina generale del giudizio di legittimità, le cui regole, salva la previsione di una specifica deroga, sono destinate  ad operare anche con riferimento alle impugnazioni cautelari.
    Alla luce di tale contrasto giurisprudenziale le Sezioni Unite, aderendo al secondo dei due indirizzi suddetti, hanno affermato che “a seguito della modifica apportata dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, agli artt. 571 e 613 c.p.p., il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere proposto personalmente dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo”.
    Ciò sulla scorta della valenza generale attribuita dalla clausola di esclusione contenuta nell’art. 571 comma 1 c.p.p. all’art. 613 comma 1, volta ad esplicitare la diversità di disciplina del ricorso per cassazione rispetto a tutti gli altri mezzi di impugnazione che l’imputato ha facoltà di proporre personalmente.
    L’art. 613, comma 1, c.p.p. presenta, a seguito dell’intervento di riforma operato dal legislatore,  una formulazione generale ed onnicomprensiva, incentrata sull’atto di ricorso e sulle specifiche connotazioni che lo stesso deve avere ai fini della rituale instaurazione del giudizio di legittimità, così accentrando all’interno di un’unica previsione la disciplina delle varie ipotesi di ricorso per cassazione disseminate nell’ordinamento.
    Al pari di tutte le disposizioni contenute nel Titolo III del Libro IX del codice di rito, l’art. 613 c.p.p., fissa le regole generali idonee a disciplinare qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione ed è applicabile, in quanto tale, non solo alle impugnazioni avverso le sentenze di merito, ma anche a tutte le diverse ed eterogenee previsioni speciali che, in relazione a specifici modelli procedimentali (siano essi di natura cautelare, esecutiva, estradizionale o di prevenzione), consentono di proporre ricorso per cassazione avverso i relativi provvedimenti.
    L’attribuzione della potestà di cognizione e decisione di tali numerose e diversificate ipotesi di ricorso per cassazione ad unico organo giurisdizionale, è idonea ad esercitare una forza di attrazione unificante per la trattazione di tutte le ipotesi imponendone, di conseguenza, l’applicazione di una disciplina omogenea ed unitaria.
    Ha precisato la Corte coma tale aspetto non incide sulla legittimazione a proporre il ricorso da parte dell’imputato, cioè sulla titolarità del diritto ad impugnare, ma attiene esclusivamente al profilo dinamico del suo esercizio concreto che l’art. 613 comma 1 c.p.p. riserva esclusivamente al difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione imponendo la sottoscrizione dell’atto introduttivo, delle memorie e dei motivi nuovi da parte di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte.
    La modifica dell’art. 613 c.p.p. non ha quindi determinato la tacita abrogazione di tutte le previsioni normative che contemplano il ricorso per cassazione dell’imputato, ma ha soltanto ricondotto tali fonti di attribuzione della mera legittimazione soggettiva nell’alveo del principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimità.
    Non vi è, infine, alcun profilo di incompatibilità tra l’abolizione del ricorso personale dell’imputato e i principi stabiliti dagli artt. 13, 24 e 11, comma 7, Cost. ovvero con le previsioni dell’art. 6, lett. b) e c), della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, poiché l’esercizio del fondamentale diritto di difesa deve essere differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo in modo tale da assicurare un livello di professionalità, adeguato all’importanza e alle difficoltà del giudizio.
    La previsione dell’art. 613, comma 1, c.p.p. si giustifica, pertanto, proprio in ragione delle approfondite conoscenze giuridiche e dell’elevato livello di qualificazione professionale che postula l’esercizio del diritto di difesa innanzi alla Corte di cassazione.

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